BATTISTERO DEL DUOMO
(Carla Silvestrin)
il Battistero romanico del Duomo di Padova, sorge sul luogo di precedenti edifici sacri di cui il più antico, una cattedrale paleocristiana, si ergeva probabilmente sull'attuale sagrato.
E' intitolato a San Giovanni Battista.
L'edificio risale alla fine del XII secolo ma è stato ricostruito nella sua forma attuale nel 1260 e consacrato nel 1281; ha pianta quadrata con alto tamburo circolare e cupola, e un'abside con cupoletta.
Il ciclo di affreschi voluti da Francesco da Carrara il Vecchio e da sua moglie Fina Buzzaccarini lo rende straordinario proprio per avere ricoperto interamente la superficie murale interna. Gli affreschi furono commissionati a Giusto de' Menabuoi e rappresenta ancora oggi uno dei cicli pittorici più spettacolari e meglio conservati del Trecento. In tutto un centinaio di scene, eseguite tra il 1375-78 con le storie della Genesi, dell'Apocalisse e di S.Giovanni Battista.
Giusto da Menabuoi a Padova riprese nelle sue pitture, le ordinate fissità romaniche e bizantine, come testimonia il grande Paradiso nella cupola del Battistero: la scena è organizzata attorno a un Cristo Pantocratore, dove ruota un'ipnotica raggiera a più strati con angeli e santi, le cui aureole in file ordinate ricordano, guardate dal basso, le punzonature di una magnifica oreficeria. Nel tamburo dipinse invece Storie della Genesi, sui pennacchi i Profeti ed Evangelisti, dove già dimostrò un estro meno bizantino, come le figure inserite entro stanze illusionisticamente dipinte. Anche nelle Storie di Cristo e del Battista, sulle pareti, compaiono delle architetture finemente calcolate, dove il pittore inserì le sue solenni e statiche immagini. Più libera appare invece la raffigurazione negli episodi di contorno, come nelle Nozze di Cana, dove una schiera di servitori si muove con naturalezza nella stanza, a differenza degli statici commensali.
Senza fare la descrizione didascalica di ogni quadro, volevo presentare delle piccole curiosità legate a questi magnifici affreschi.
Lo sapevate che il piccolo nuovo Vangelo fatto stampare in 50.000 copie da papa Francesco e distribuito gratuitamente, ha in copertina il riquadro del ciclo, dove c’è il Cristo al centro di una piccola folla, che indossa la tunica rossa simbolo di umanità e un ampio mantello azzurro che ne segna la divinità. Attorno c’è un popolo orante e sofferente che chiede miracoli: la donna che si indica la bocca è muta, l’uomo con l’indice nell’orecchio destro è sordo, in primo piano un ragazzo mostra un braccio ischeletrito dalla paralisi. Insomma, è un incontro con i poveri e i colpiti dalla disgrazia, i segnati da Dio. Ma oltre a coloro che chiedono il miracolo, il dipinto ritrae anche tutta la Padova che conta: c’è il signore della città, Francesco il Vecchio da Carrara e la moglie, la coltissima principessa Fina Buzzaccarini, ispiratrice di artisti e poeti. E l’intellettuale di corte, il poeta Francesco Petrarca.
Il simbolo del carro dei da Carrara è realmente disseminato in tutta la superficie dipinta del mausoleo/battistero.
Nell’abside incontriamo infatti una serie di quarantatre riquadri che illustrano l’Apocalisse.
Uno di questi in particolare mostra la bestia incoronata con le tiare papali. Questo dettaglio ha per molto tempo incuriosito i visitatori e continua a farlo tutt’oggi. PerchéGiusto de’ Menabuoi decise di aggiungere il dettaglio delle tiare papali? Cosa voleva dirci?
In tutti i riquadri le scene dell’Apocalisse vengono rappresentate in modo del tutto conforme con le descrizioni fornite nei testi sacri. Tutti meno quella che illustra la bestia che sale dal mare. Così ci viene infatti descritta nel passaggio biblico:
Poi vidi salire dal mare una bestia che aveva dieci corna e sette teste, sulle corna dieci diademi e sulle teste nomi blasfemi. La bestia che io vidi era simile a un leopardo, i suoi piedi erano come quelli dell’orso e la bocca come quella del leone. Il dragone le diede la sua potenza, il suo trono e una grande autorità. E vidi una delle sue teste come ferita a morte; ma la sua piaga mortale fu guarita; e tutta la terra, meravigliata, andò dietro alla bestia; e adorarono il dragone perché aveva dato il potere alla bestia; e adorarono la bestia dicendo: «Chi è simile alla bestia? e chi può combattere contro di lei?».
La “licenza poetica” di Giusto de’ Menabuoi lascia quindi del tutto perplessi, per lo meno finché non prendiamo in considerazione il contesto storico.
Il pittore esegue l’affresco durante il soggiorno del papato in Francia, noto storicamente come la “cattività avignonese”. Fra il 1309 e il 1377 infatti il papato abbandonò Roma per insediarsi ad Avignone, una situazione di esilio che venne paragonato a quello degli ebrei in Babilonia e per questo all’epoca denominato anche “nuova cattività babilonese”.
Fu una decisione che mirò a rassicurare Filippo il Bello, che si era trovato in rotta di collisione con il papato di Bonifacio VIII. Mantenere stretti contatti politici con la Francia divenne di primaria importanza, in quanto Filippo il Bello minacciava di causare un scisma all’interno della Chiesa. Il neoeletto papa francese Clemente V decise così di trasferire il papato ad Avignone.
Clemente V fu il settimo papa francese nella storia della Chiesa. Fu solo una coincidenza quindi che la bestia – con appunto sette teste – venne rappresentata da Giusto de’ Menabuoi con le tiare papali?
Come scrive Petrarca, canonico del duomo di Padova, la situazione della Chiesa in quel periodo era tutt’altro che idilliaca. Secondo lo scrittore italiano, la Chiesa era “povera, inferma, miserabile, derelitta, coperta degli abiti della vedovanza, giorno e notte ella piange mestamente”. Proprio per questo, l’opinione generale nei confronti di Clemente V non era priva di pesanti critiche. Petrarca, così come Caterina di Siena, implorò invano Clemente V di tornare a Roma.
In ultima analisi, l’affresco di Giusto de’ Menabuoi potrebbe così venire interpretato come una critica politica all’operato di Clemente V.
E come ultima notizia, Giusto de' Menabuoi, nominato pittore di corte dei da Carrara dopo la morte di Guariento (i suoi famosi angeli sono conservati al museo civico degli Eremitani).
L'incarico fu per disposizione testamentale di Fina Buzzaccarini, moglie di Francesco 'il vecchio' da Carrara, signore di Padova, sepolta nel 1378 nel Battistero.
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